Le vie invisibili by Franco Michieli

Le vie invisibili by Franco Michieli

autore:Franco Michieli [Michieli, Franco]
La lingua: ita
Format: epub
editore: Ponte alle Grazie
pubblicato: 2024-02-15T09:51:07+00:00


Capitolo 5

Immaginare un viaggio con mappe mentali e bussole naturali

Nel 1995 si concretizzò per me quella strana apertura di prospettiva sperimentata nei giorni di sfinimento e di miraggi della marcia sul Vatnajökull. Mi sposai con Giovanna, che avevo conosciuto ben sette anni prima mentre lei era guardaparco nel Parco nazionale del Gran Paradiso; nonostante diversi presagi, aveva dovuto passare quel tempo affinché riconoscessimo di essere molto più che amici. Ci stabilimmo in Valcamonica, tra Prealpi e Adamello, dove Giovanna aveva un nuovo incarico come tecnico forestale.

In quegli anni compimmo assieme diversi viaggi a piedi in varie parti del mondo, anche al Nord, in Norvegia e in Groenlandia (di quest’ultima racconterò più avanti). Viaggiando avevamo notato il dilagare del turismo consumistico anche in aree che avrebbero potuto offrire relazioni molto più genuine e forti con la natura e con popolazioni native, per esempio nell’Himalaya o tra foreste e vulcani dell’Indonesia. Eravamo riusciti a compiere percorsi senza guide e portatori in luoghi dove stavano divenendo obbligatori; ciò permetteva di conservare una relazione più spontanea con ambienti di eccezionale interesse, ma anche di osservare con un certo senso critico il dilagare di comportamenti frivoli. Eravamo colpiti dalla banalizzazione di esperienze che noi fino ad allora avevamo cercato di vivere con mezzi semplici e in autenticità.

Queste impressioni si sommavano all’involuzione dell’avventura causata dall’uso sempre più capillare delle telecomunicazioni e della navigazione satellitare, come ho spiegato per esteso nelle prime pagine di questo libro. Riflettevo quindi su come togliere dal mio bagaglio anche la carta, la bussola, l’altimetro e l’orologio, in cerca di relazioni non mediate. Si sarebbe trattato di una scelta di rottura eclatante, da molti ritenuta impossibile se attuata in vaste aree selvagge, e non intendevo improvvisarla.

Alcune esperienze contribuirono a prepararmi al passaggio. Nel giugno del 1996 raggiunsi da solo l’arcipelago delle Fær Øer, poco più di un piccolo grumo di terra frantumata se osservato sulle mappe dell’oceano, ma che dal vivo si rivela come una complessa successione di catene emergenti dalle acque, separate tra loro da stretti bracci di mare e lunghi fiordi, su cui si affacciano pareti vertiginose. Le architetture dei monti, vocianti di infiniti uccelli marini, non sono che altissime pile di colate laviche sovrapposte, eruttate intorno ai 55 milioni di anni fa durante l’apertura dell’oceano fra Nordeuropa e Groenlandia. L’impervio rilievo, in cui spiccano strati basaltici orizzontali, pare fatto di scalinate gigantesche, erose da antichi ghiacciai e modellate in conche e valli sospese, separate da crinali talvolta sottili o terminanti bruscamente in precipizi immensi. Sui pendii più dolci come sulle infinite cenge erbose che tagliano versanti ripidissimi pascolano pecore di piccola taglia: fin dai primordi dell’insediamento umano, da parte di eremiti irlandesi e poi dei Vichinghi, l’allevamento degli ovini si dimostrò la principale fonte di sostentamento per gli abitanti, tanto che Fær Øer significa «isole delle pecore»; solo in seguito la pesca assunse grande importanza.

Memore di quanto sia meraviglioso attraversare a piedi un arcipelago, come avvenuto alle isole Lofoten e Vesterålen, arrivai deciso a concatenare da un’estremità all’altra le



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